IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza  sulla  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 308, secondo comma, del c.p.p.,
 sollevata dal p.m. in sede con istanza depositata in  cancelleria  in
 data 14 maggio 1993, nel procedimento n. 244/93 nei confronti di:
      Bissi  Giampaolo,  nato  a  Teglio  il  2  maggio  1941  ed  ivi
 residente, via Quigna n. 8, sindaco del comune di Teglio;
      Reghenzani Pier Giuseppe, nato a Teglio il 12 gennaio 1945,  ivi
 residente,  via  Piatte  23,  componente  la commissione edilizia del
 comune di Teglio;
      Fanchi Vando, nato a Teglio il 13 maggio  1950,  ivi  residente,
 via  Scranzi  29,  assessore  municipale  e componente la commissione
 edilizia del comune di Teglio;
      Testini Sandro, nato a Sondrio il 7 ottobre  1955,  residente  a
 Teglio-Tresenda, via Aprica 7, componente la commissione edilizia del
 comune di Teglio;
      Casparri  Giovanni  Aurelio, nato a Teglio il 3 aprile 1937, ivi
 residente, via Somasassa 30, vice sindaco, assessore e componente  la
 commissione edilizia del comune di Teglio;
      Marchetti Renzo, nato a Teglio il 26 aprile 1958, ivi residente,
 via  Muselli  6,  componente  la  commissione  edilizia del comune di
 Teglio,
 persone sottoposte alle indagini per i seguenti delitti:
       a) delitto p. e p. dagli  artt.  110,  81  cpv,  323,  primo  e
 secondo  comma,  del  c.p.,  perche',  in  esecuzione  di un medesimo
 disegno criminoso, in concorso  fra  loro,  nella  loro  qualita'  di
 pubblici  ufficiali,  Bissi  Giampaolo  quale  sindaco  del comune di
 Teglio, Reghenzani  Pier  Giuseppe,  Testini  Sandro,  Fanchi  Vando,
 Casparri  Giovanni,  Marchetti  Enzo  quali componenti la commissione
 edilizia del comune di Teglio, al fine di procurare a se' o ad  altri
 un ingiusto vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, o per arrecare
 ad  altri  un  danno  ingiusto,  abusavano  del  loro  ufficio, abuso
 consistito nell'utilizzare per il rilascio delle concessioni edilizie
 il  programma  di  fabbricazione  annesso  al  regolamento   edilizio
 adottato  dal comune di Teglio nel 1957, privo di qualsiasi efficacia
 perche' mai approvato con decreto  del  provveditore  regionale  alle
 opere  pubbliche,  ai  sensi  dell'art.  36  della  legge urbanistica
 1150/42 e, per queste ragioni, mai utilizzato  nei  precedenti  venti
 anni.
    In Teglio dal 1989 fino a tutto il mese di febbraio 1993;
       b)  del  delitto  p.  e p. dagli artt. 110 e 476 c.p., perche',
 nella qualita' e nelle funzioni di cui al capo che precede, formavano
 in tutto o in parte un atto falso o alteravano un  atto  vero,  nella
 specie ampliavano o modificavano, o comunque decidevano e disponevano
 l'ampliamento o la modifica, della originale perimetria del programma
 di fabbricazione del comune di Teglio adottato nel 1957.
    In Teglio, fra il 1990 ed il 1992;
       c) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 61, n. 2, 490 del c.p.,
 perche', al fine di occultare il reato di cui al capo b), in concorso
 fra  loro,  distruggevano,  sopprimevano  od occultavano le copie del
 programma di fabbricazione di cui sopra, solitamente utilizzate dalla
 commissione edilizia per  il  rilascio  delle  concessioni  edilizie,
 custodite nell'armadio dell'ufficio tecnico del comune di Teglio, nei
 giorni  immediatamente  successivi alla perquisizione ed ai sequestri
 operati dalla guardia di finanza.
    In Teglio, successivamente al 20 novembre 1992.
                             O S S E R V A
    Premesso che  con  istanza  14  maggio  1993  il  p.m.  presso  il
 tribunale  di  Sondrio chiedeva a questo g.i.p. la rinnovazione della
 misura cautelare personale interdittiva ex art. 289 del c.p.p., della
 sospensione degli indagati dalle loro rispettive cariche di  sindaco,
 vicesindaco,  assessori  e  componenti  la  commissione  edilizia del
 comune di Teglio, gia' disposta con ordinanza in data 23 marzo 1993.
    Fondava il p.m. la sua richiesta di rinnovazione - oltre  che  sui
 gravi  indizi  di  colpevolezza  gia'  ritenuti sussistenti da questo
 g.i.p. in sede di applicazione della rinnovanda misura e ribaditi dal
 tribunale di Sondrio in sede di appello ex  art.  310  del  c.p.p.  -
 sulla  esigenza  cautelare specifica di cui alla lettera c) dell'art.
 274 del c.p.p., essendovi concreto pericolo della reiterazione  della
 condotta  da  parte degli indagati, una volta che gli stessi, scaduto
 il bimestre di efficacia della misura previsto dall'art. 308, secondo
 comma, primo periodo, fossero  rientrati  nell'esercizio  delle  loro
 funzioni.
    Era peraltro lo stesso p.m. ad osservare che il g.i.p. non avrebbe
 potuto  soddisfare  tale sua richiesta, ostandovi proprio la norma di
 cui al cit.  art.  308,  secondo  comma,  la  quale  prevede  che  la
 rinnovazione  della  misura  interdittiva  possa  essere disposta dal
 Giudice solo per esigenze probatorie (art. 274, lett. a).
    Sollevava   pertanto   il   p.m.   questione    di    legittimita'
 costituzionale  di  tale  norma, chiedendo in subordine che il g.i.p.
 volesse applicare la misura degli arresti domiciliari agli indagati.
    Questo g.i.p. ritiene di condividere la questione sollevata per le
 ragioni che seguono.
    1) Quanto alla rilevanza della questione. -  E'  evidente  che  la
 risoluzione della stessa rivesta importanza decisiva nel procedimento
 attinente   alla   rinnovazione   della   misura  cautelare  od  alla
 applicazione della misura coercitiva degli arresti domiciliari.
    2) Quanto alla non manifesta infondatezza.  -  Come  correttamente
 individuato  dal  p.m., la questione di illegittimita' costituzionale
 dell'art. 308, secondo comma,  secondo  periodo,  del  c.p.p.  appare
 prima  facie  consistente,  in relazione a tre diversi articoli della
 Carta costituzionale:
       a) innanzitutto con riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    Le esigenze cautelari sono descritte dall'art. 274 del  c.p.p.  ed
 attengono  alle  indagini,  al  pericolo di fuga ed alla prevenzione.
 Come previsto nell'articolo successivo,  naturale  conseguenza  della
 "scelta pluralistica" del legislatore e' il "principio di adeguatezza
 delle  misure  cautelari",  ovvero  della loro idoneita' a soddisfare
 l'esigenza cautelare per la quale sono state disposte, nel senso  che
 la  afflittivita'  della misura deve essere proporzionata alla tutela
 della esigenza alla quale si ricollega. Pertanto, premesso  che,  nel
 caso   di   specie,   misura   adeguata   era   semplicemente  quella
 interdittiva, e' di tutta evidenza che, a differenza  di  quello  che
 accade quando a motivare la richiesta di misura interdittiva siano le
 esigenze  attinenti  alle  indagini (nel qual caso il p.m. si attiva,
 compie atti istruttori al fine di evidenziare e di chiarire i fatti e
 di ridurre le esigenze relative alla  genuinita'  della  prova),  nel
 caso  in  cui  le esigenze cautelari riguardino la prevenzione (lett.
 c),  queste  possono  permanere  nel  tempo  indipendentemente  dalla
 attivita'   del  p.m.,  al  quale  quindi,  scaduto  il  bimestre  di
 efficacia, non resta che  chiedere  l'adozione  di  misure  riduttive
 della  liberta'  personale,  pur  se  queste  appaiono sproporzionate
 rispetto all'esigenza da salvaguardare.
    Appare pertanto assai ingiustificata la previsione dell'art.  308,
 secondo comma, del c.p.p., che prevede per casi simili un trattamento
 differenziato, disponendo che, relativamente alle misure interdittive
 richieste  per motivi probatori, sia possibile disporre la proroga (e
 pertanto arrivare  a  termini  pari  al  doppio  di  quelli  previsti
 dall'art.  303  del c.p.p.), mentre per le misure richieste a fini di
 prevenzione non e' possibile disporre nessuna rinnovazione al di  la'
 del  termine  (esiguo)  di mesi due, termine che rende spesso sterile
 l'adozione di una tale misura e giustifica lo  scarso  interesse  del
 magistrato  inquirente  a  richiedere  la stessa, che invece potrebbe
 rivelarsi equa ed utilissima per  la  cautela  dalla  commissione  di
 reati come quelli per cui si procede.
    In  sostanza,  quindi,  non  e'  dato  di  capire il perche' di un
 trattamento  differenziato   relativamente   ad   esigenze   entrambe
 meritevoli del medesimo grado di tutela.
    Osservato  che  neppure  la  relazione  al Codice fornisce lumi al
 riguardo, ritiene il g.i.p., in sintonia col p.m. che tale previsione
 irrazionale si ponga in contrasto con il principio di uguaglianza  di
 cui all'art. 3 della Costituzione;
       b) contrasto con l'art. 25 della Costituzione.
    L'irrazionalita'   della  norma  si  manifesta  pure  sotto  altro
 profilo.
    Difatti, se la misura interdittiva non e' rinnovabile  a  fini  di
 prevenzione,   da  cio'  deriva  che,  per  tutelare  tale  esigenza,
 occorrera' necessariamente  chiedere  l'applicazione  di  una  misura
 cautelare  coercitiva  (quella  degli arresti domiciliari nel caso di
 specie, l'unica, assieme  alla  custodia  in  carcere,  in  grado  di
 impedire  agli  indagati  di  riprendere  lo  svolgimento  della loro
 attivita').
    Cio' pone l'art. 308, secondo  comma,  del  c.p.p.  in  contrasto,
 oltre  che  con  l'art.  3,  anche  con l'art. 25 della Costituzione,
 derivando  una  restrizione  della  liberta'   personale   altrimenti
 evitabile,  qualora  fosse  stata  consentita  la  rinnovazione della
 misura;
       c) contrasto con l'art. 76 della Costituzione.
    L'art. 308, secondo comma, del c.p.p. mal si coordina con i  punti
 59  e  65  della legge-delega, ispirati al principio di adeguatezza e
 gradualita' delle misure cautelari, con violazione pertanto dell'art.
 76 della Costituzione, in quanto con tale disposizione il Governo  si
 e'  distaccato  dai  principi  e  dai criteri direttivi stabiliti dal
 Parlamento.